Emilio Perillo (1824-1886): medico, docente e filantropo

di

Ennio De Simone

Nardò, Via Don Minzoni, Palazzo Perillo

Discutere del profilo umano e professionale di un personaggio prendendo come riferimento le testimonianze raccolte alla sua morte comporta rischi evidenti riguardo all’attendibilità dei giudizi espressi ed alla corrispondenza dell’immagine che se ne ricava rispetto a quella reale. Ciò non esclude che, con tutte le necessarie cautele, anche i discorsi commemorativi possono assumere il valore di fonti storiografiche e concorrere quantomeno a delinearne i contorni essenziali, soprattutto quando è possibile individuare una sostanziale convergenza di opinioni. Tenendo presente questa quasi scontata ma opportuna premessa, ci piace proporre il ricordo di Emilio Perillo, basandolo, in mancanza di altre fonti bibliografiche[1], fondamentalmente sulle notizie che ci fornisce la stampa locale dell’epoca nell’annunciarne la sua scomparsa avvenuta il 25 marzo del 1886[2]. Infatti, con una prassi fuori dell’ordinario, le principali testate del periodo si soffermarono ampiamente nell’elogiarne la figura, riportando le generali manifestazioni di cordoglio che si ebbero al propagarsi della notizia della sua morte; possiamo anzi affermare che, pur depurando il contenuto degli annunci dalla consueta dose di retorica d’occasione, si percepisce nelle frasi di encomio pronunciate l’espressione di un sentire sincero. A quelle pagine, pertanto, inviamo per una più minuziosa rappresentazione delle testimonianze raccolte[3].

Perillo è, evidentemente, un personaggio minore nell’ambito delle figure che hanno rappresentato l’ambiente scientifico della Terra d’Otranto, essendosi egli dedicato essenzialmente all’attività professionale di medico e d’insegnante, ma ha lasciato tracce del proprio impegno, che solo il passare del tempo ha pressoché cancellato.

Il suo nome acquisì una certa rilevanza pubblica nel 1859, quando, con decreto del 17 marzo di quell’anno ottenne la cattedra di anatomia e fisiologia presso il Real Liceo “S. Giuseppe” di Lecce[4]. L’incarico di docente andò da allora ad affiancarsi all’esercizio della professione medica che, dopo la laurea conseguita a Napoli il 20 luglio 1848[5], aveva svolto già a Napoli, dal 1849 al 1852, in qualità di chirurgo nell’Ospedale degli Incurabili ed in quello dei Pellegrini e, in seguito, presso la Clinica Ostetrica dell’università napoletana[6]. Proseguiva così una tradizione familiare che, oltre il padre, vedeva in famiglia la presenza di altri medici, tra i quali – il più illustre – il cugino Gregorio Olivieri, che in Napoli ricopriva importanti ruoli professionali[7].

La riorganizzazione degli studi superiori portata a termine dopo l’Unità vide assegnargli invece la cattedra di storia naturale, che egli tenne ininterrottamente per 25 anni, durante i quali risedette a Lecce, dove si era trasferito da Nardò, città in cui era nato il 24 agosto del 1824. Per tale ragione, proprio dal liceo in cui aveva lungamente insegnato si ricavano alcune interessanti informazioni, soprattutto quelle che scaturiscono dalle parole pronunciate dal suo anziano collega Clemente Antonaci, nel corso di una solenne cerimonia di commemorazione organizzata in quell’istituto scolastico l’11 aprile del 1886[8].

L’insegnamento delle scienze naturali in quel periodo soffriva la sudditanza rispetto alle discipline di area umanistica, ma il ridotto numero di ore in cui si svolgeva consentiva al Perillo di praticare contemporaneamente la professione medica e di gestire un Istituto Idroterapico, sottraendo il minor tempo possibile alle ore di docenza, sostituito, all’occorrenza, dai suoi colleghi. Secondo la testimonianza dell’Antonaci, l’esposizione degli argomenti scolastici trattati era «limpida e disinvolta, senza lusso di forme retoriche, ammannita alla buona, persino con qualche modo dialettale». Non di rado, inoltre, suppliva alla carenza dei sussidi didattici utilizzando i modelli anatomici di sua proprietà e, per un periodo di tempo, si giovò del testo di scienze naturali scritto dal naturalista toscano Paride Colucci Nucchelli, adottato, in diverse edizioni, in numerosi licei ed istituti tecnici. E’ stato affermato che egli dimostrava una forte ritrosia a soffermarsi «sulle ricerche speculative biologiche», perchè preferiva l’aspetto descrittivo dei fenomeni naturali, supportato da osservazioni e deduzioni acquisite in modo definitivo. Rifuggiva perciò dall’accettare il confronto con istanze divergenti rispetto ai principi fondamentali delle scienze naturali e della medicina tradizionale con cui si era formato; «persuaso, com’era, che nel regno della materia poco s’intende, e che quello dello spirito rimane tuttora un logogrifo, studiava più di genio un vegetale ed un metalloide, che una quistione di alta scienza o letteratura, più una tavola di Morgagni che una disquisizione di Virchow». Furono, infatti, gl’interessi nei riguardi dell’osservazione naturalistica che lo condussero a visitare a Parigi lo storico Giardino delle Piante, a Vienna il Parco di Schoenbrun e le montagne e i laghi svizzeri, riportandone entusiastiche impressioni. Tuttavia, già nel 1867, inviato insieme al medico tarantino Nicola Sebastio in Francia per partecipare alle sessioni riservate alla medicina nel corso dell’Esposizione Universale di Parigi, aveva approfittato dell’impegnativa trasferta per riportare in Italia le più recenti metodiche introdotte in ambito chirurgico e le applicazioni di nuovi strumenti d’indagine diagnostica. Più in particolare, egli rivolse la sua attenzione su un’innovativa pratica chirurgica per la rimozione della cataratta e su un modello di endoscopio per l’esplorazione uretrale e della vescica, nonché sull’impiego, nelle operazioni chirurgiche, della galvano-caustica termica e chimica, in grado di risparmiare, rispetto all’usuale tecnica di cauterizzazione per arroventamento, atroci sofferenze ai pazienti. Fu questa l’occasione in cui, al rientro da Parigi, portò a termine l’unica pubblicazione che di lui si conosca, con l’intento dichiarato non di giovarsene per la promozione di suoi personali interessi professionali, ma di mettere a disposizione di ogni medico, «pel bene dell’umanità», quanto di più efficace era stato introdotto nella pratica medico-chirurgica[9].

Nei ricordi di Clemente Antonaci, quest’aspetto dell’atteggiamento aperto nei confronti dei colleghi da parte del Perillo è chiaramente sottolineato; anzi la sua disponibilità ad indirizzare quanti gli si rivolgevano per un intervento chirurgico e per cure mediche ai suoi colleghi più giovani, come l’emergente Vito Fazzi che era stato suo allievo, o l’oftalmologo Emilio Vitali, che dalla Lombardia era giunto in Puglia, rischiava di apparire più che disinteresse per le gratificazioni venali derivanti dall’esercizio medico, come una forma di subordinazione, ed eccessiva deferenza. In realtà, le testimonianze raccolte confermano con quanta disponibilità porgeva la sua opera in maniera del tutto disinteressata, quando la situazione sociale ed economica del paziente si presentava precaria; ne costituisce un’indubbia attestazione il privilegio della corona d’alloro accordatogli dalla Società Operaia leccese come riconoscimento della sua opera in favore di persone indigenti[10]. E se può darsi credito ancora all’Antonaci, quando afferma che «Per cercar sollievo all’altrui salute, perdé la sua», ancor più si rafforza l’immagine del filantropo che gli fu ripetutamente riconosciuta.

La sua salute, infatti, divenuta piuttosto malferma, sarebbe stata compromessa in occasione di un difficoltoso intervento al quale era stato chiamato per assistere una partoriente; per quanto febbricitante, aveva prestato per ore la sua opera, riportandone però un notevole indebolimento nel fisico. Eppure la sua figura è descritta come quella di un uomo molto vigoroso e, nel contempo, di indole mite e grande bonomia[11].

In età avanzata, l’anno prima della morte, aveva sposato una signora napoletana e programmava di abbandonare Lecce per trasferirsi definitivamente a Napoli. Gli eventi furono però diversi.

Trascorsi 125 anni dalla sua morte, il ricordo più significativo e duraturo della sua figura è affidato oggi a tre epigrafi, nel capoluogo salentino e nella sua città natale, più che alla cronaca dei solenni funerali che si svolsero alla presenza di una folta rappresentanza di cittadini di ogni ceto, delle massime autorità leccesi e neretine, di associazioni professionali e culturali, del corpo docente degli istituti scolastici, delle bande musicali di Lecce e di Nardò. La prima epigrafe, dettata da Michele Minoia e scolpita in marmo dal neretino Giuseppe De Cupertinis è affissa nei locali dell’ex liceo leccese, poi Convitto “G. Palmieri”, dove il Perillo aveva insegnato. La seconda fu apposta in occasione del primo anniversario della morte sulla sua casa natale di Nardò, nel vicolo titolato al suo nome, e l’ultima sul monumento sepolcrale che nel 1892 la sorella Francesca eresse nel cimitero monumentale di Lecce[12]. Esse hanno il compito difficile di richiamare la memoria di un personaggio oggi sconosciuto, ma che per i suoi contemporanei «non era solamente illustre chirurgo, dottissimo medico, chiaro per quanto emerito cattedratico; ma benefattore altresì, caritatevole e affettuoso, sincero, leale, democratico».

 

ex convitto palmieri - targa in marmo inmemoria di emilio perillo di

[1] L’unica pubblicazione nota sul Perillo, M. De Matteis Solida, Emilio Perillo esempio di grande scienza e di grande carità cittadina, Lecce 1888, risulta, infatti, introvabile.

[2] “Il Propugnatore”, 29/III/1886; “Il Risorgimento”, 28/III/1886.

[3] “Il Propugnatore”, 19/IV/1886; “Il Risorgimento”, 18/IV/1886.

[4] “Il Paese. Giornale politico-letterario”, 14/IV/1859. Per quanto riguarda l’organizzazione della scuola pubblica nel Salento rinviamo alla bibliografia riportata in E. De Simone, La didattica delle Scienze a Lecce dopo l’Unità, in A. Rossi-L. Ruggiero (a cura di), Collezioni Scientifiche a Lecce, Lecce 2002, 9-16.

[5] Elenco degli esercenti sanitari nella Provincia di Lecce per l’anno 1879, Lecce 1879, 6-7.

[6] Il R. Liceo Ginnasiale Palmieri in Lecce, Terra d’Otranto, nell’anno scolastico 1875-1876, Lecce 1877, 43.

[7] E. De Simone, Gregorio Olivieri (1790-1853): un chirurgo neretino al VII Congresso degli Scienziati Italiani, in «Spicilegia Sallentina», 6 (2009), 85-93.

[8] Il lungo testo del discorso celebrativo è riportato integralmente da “Il Propugnatore”, 19/IV/1886.

[9] E. Perillo, Breve esposizione di nuovi apparecchi ed operazioni studiati negli ospedali di Parigi, Napoli 1867.

[10] Non casualmente nei riferimenti al suo stile di vita si leggono espressioni che non lasciano adito a dubbi: «egli era il benefattore dei poveri»; «aperto il viso e fronte, così espansiva l’anima»; «esempio di grande scienza e di grande carità cittadina»; «gran lume di scienza e di carità».

[11] «Di tempra fortissima, egli era il ritratto della salute»; «florido nell’aspetto»; «atletico e muscoloso».

[12] Ne riportiamo i rispettivi testi:

«EMILIO PERILLO/ IN QUESTO ATENEO/ XXVI ANNI LE NATURALI DISCIPLINE INSEGNÒ/ MEDICO CHIRURGO INSIGNE/ NATO IN NARDÒ IL XXIII AGOSTO MDCCCLXXIV/ MORÌ IN LECCE IL XXV MARZO MDCCCLXXXVI/ E PARVE NEL SALENTO SI SPEGNESSE/ UN GRAN LUME DI SCIENZA E DI CARITÁ/ SCOLARI E PROFESSORI/ DI TANTA PERDITA INCONSOLABILI/ NELLA COMMEMORAZIONE SOLENNE/ POSERO/ MDCCCLXXXVI».

«IN QUESTA CASA NAQUE/ IL XXIV AGOSTO MDCCCXXIV/ EMILIO PERILLO/ NELL’ATENEO LUPIENSE MOLTI ANNI/ DETTÒ FISIOLOGIA POI STORIA NATURALE/ CONSOCIANDO ALL’ANTICO IL NUOVO SAPERE/ CERUSICO INSIGNE/ PER LE CITTÁ E LE BORGATE SALENTINE/ PRONTO A PORTAR SALUTE SIN FEBBRICITANTE/ PERDÈ LA SUA/ LA NERETINA CITTADINANZA/ OGGI XXV MARZO MDCCCLXXXVII/ PRIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI LUI/ COMMEMORANDONE CON MESTO RITO L’UOMO/ LO SEGNA IN QUESTO MARMO/ ESEMPIO AI FUTURI».

«EMILIO PERILLO/ CHIRURGO RINOMATISSIMO/ MORTO IN LECCE A XXV MARZO/ MDCCCLXXXVI/ LA SORELLA FRANCESCA/ POSE NEL MDCCCXCII».