L’ARCHITETTURA PARLANTE
di
SANTA CROCE a LECCE
Premettiamo che in questa sede non ci interesseremo della basilica di Santa Croce nella sua totalità, ma vogliamo focalizzare la nostra attenzione particolarmente sulla facciata e le sculture della facciata, quelle più discusse e fraintese tante volte in passato. Non possiamo però tralasciare di ripetere ciò che spesso, sin dai secoli scorsi, insigni visitatori e autorevoli critici hanno ammirato in Santa Croce, definendola lo spettacolo più insigne della città, una miniera inesauribile di meraviglie e di stupore. Già alla metà del ‘600 Giulio Cesare Infantino la definiva una delle più belle chiese di tutto il Regno di Napoli. Paul Bourget nell’800 asseriva che qui la fantasia degli artefici confinava con il delirio, al punto che l’occhio si sentiva abbagliato di fronte alla pietra trattata come una trina, come un ricamo. André Morel un secolo fa notava che, per esempio, i capitelli corinzi sono di un corinzio che Corinto non conosceva, tanto che le foglie di acanto sono frammiste a ghirlande, frutti tratti dal territorio circostante, fregi zoomorfi e antropomorfi, altri motivi estratti da ruderi plastici romani e motivi normanni e medioevali. Di fronte a Santa Croce si resta abbagliati come di fronte ad una messinscena.
Ma quali significati si nascondono in quella sinfonia di plurimi intagli e magiche scenografie? In passato si sono date come ho accennato le più bislacche interpretazioni e spiegazioni discutibili sino a tutto l’800. Citiamo, a mo’ di esempio, ciò che ne disse e ne scrisse nell’800 Luigi Cepolla, un eminente docente di diritto dell’università di Napoli, colui che ideò l’apparato simbolico della guglia ottocentesca a Lecce davanti a Porta Napoli in onore del re Ferdinando I. Egli era, oltre che avvocato, un letterato, latinista e grecista, ma in una strambissima interpretazione addirittura arrivò a credere che la facciata di Santa Croce contenesse un linguaggio “geroglifico” nei suoi grifi, pantere, lupi e leoni. Di queste e altre assurdità ci conservano memoria seri studiosi del primo ‘900, come Luigi De Simone e Nicola Vacca. Sino agli anni sessanta del secolo scorso persino un valido studioso quale Michele Paone dava delle interpretazioni molto discutibili delle mensole della balaustrata, pur precisando che non sono certo riferibili puramente al solo estro fantastico.
Ma nell’ultimo trentennio del secolo scorso, e soprattutto nel Convegno tenutosi a Lecce nel 1989 a proposito del restauro dell’insigne monumento, si è fatto il punto sul significato di tale architettura parlante e in particolare sull’ordine prigioniero, col contributo di eminenti studiosi, quali Marcello Fagiolo, Vincenzo Cazzato, M. Calvesi e Mario Manieri Elia.
Santa Croce: un monumento a crinale fra due epoche, il tardo Rinascimento ed il periodo prebarocco e pienamente Barocco, si realizza dunque nel corso di un tempo assai lungo dal 1549 al 1646, circa un secolo, anche senza tener conto della prosecuzione dei lavori col convento dei Celestini, oggi prefettura, che si protrasse sino al 1695,cioè sino alla fine del XVII secolo.
Noi non ci interesseremo minutamente delle varie fasi costruttive, ma almeno diremo che la prima fase nella facciata inferiore é dovuta a Gabriele Riccardi, il più eminente scultore e architetto leccese del tempo, che la ideò con gusto pienamente rinascimentale entro sei bellissime colonne con tre raffinatissimi portali, sormontati da stemmi nobiliari e religiosi. La parte superiore è dovuta ad altri tre grandi artisti del ‘600, i due Zimbalo, Francesco Antonio e Giuseppe Zimbalo, e Cesare Penna, l’unico che si firma sulla parte sinistra del prospetto, sopra la statua di San Pier Celestino.
Cesare Penna “scolpiva”
La nostra attenzione, comunque sia, qui vogliamo rivolgerla alla restituzione del significato di architettura parlante in Santa Croce, con un particolare sguardo alla definizione di ordine prigioniero. Per le varie interpretazioni ci siamo avvalsi soprattutto dei lavori di quattro grandi studiosi sopra citati a proposito del Convegno del 1989, e cioè Marcello Fagiolo, Vincenzo Cazzato, M. Calvesi e Mario Manieri Elia.
In sostanza oggi si può senz’altro sfidare la critica tradizionale e la si può accusare di insufficiente conoscenza e capacità di comprensione di una produzione singolare e importante come quella di Santa Croce, uno dei monumenti più rappresentativi del Mezzogiorno e quindi d’Italia. Si possono tranquillamente ribaltare i disvalori attribuiti in passato a questo monumento, per cui talvolta si giunse a parlare di eccesso ornamentale, di carattere composito e incoerente.
Anche estimatori evoluti della produzione barocca ne parlavano con un certo senso di “sufficienza”: ad esempio il grande storico dell’arte Cesare Brandi addirittura usa a proposito di Santa Croce l’aggettivo “eteroclito” come dire strano e bizzarro, e tira fuori il sostantivo chiaramente riduttivo di “barocchetto”.
Il periodo costruttivo abbastanza lungo, dalla metà del ‘500 alla fine del ‘600, concorre a fare di Santa Croce un serbatoio di memorie, un intero palinsesto di messaggi, oltre che artistici evidentemente anche storici.
Ma perché anche storici? Perché nel 1571 avviene la battaglia di Lepanto, la celebre battaglia tra i cristiani e i turchi. I telamoni tardo-cinquecenteschi che reggono la balconata, rimandano senza alcun dubbio alla vittoria di Lepanto del 1571 poiché essi sono in stretta connessione iconologica col trionfo della Croce conseguente a quella battaglia.
Notevole relazione con la battaglia di Lepanto è da vedere innanzitutto nell’ordine prigioniero espresso dall’angolare ‘colonna inglobata’ (sul lato sinistro dell’edificio, a spigolo con la facciata).
La facciata della chiesa, dedicata Deo vexilloque Crucis, rimanda forse al labaro di Costantino col motto In hoc signo vinces : (i telamoni che reggono la balconata rimandano alla vittoria di Lepanto del 1571)
Ebbene, perché l’enigmatica ‘colonna ingabbiata’ è relegata in posizione marginale rispetto al prospetto?
Si può ritenere che la colonna è orientata più o meno nella direzione geografica del mondo turchesco e posta come sfondo di una strada proveniente dalla porta urbica nord-orientale di San Martino (oggi non più esistente): la colonna ‘inglobata’ rivolta verso il mondo musulmano è quindi il simbolo pagano della colonna ‘imprigionata’ nel pilastro cristiano. In senso lato ci si può certo richiamare al simbolismo elementare dei volumi, e cioè alla forma pura della colonna cilindrica (assimilabile alla perfezione celeste del cerchio) contenuta all’interno del pilastro, (assimilabile al movimento del cubo, simbolo della terra).
Non mancano esempi di tal genere in architettura: basterebbe pensare alla villa ‘La Rotonda’ del Palladio, letta come sala ‘cilindrica’ coperta a cupola all’interno del ‘cubo’ della villa. Mario Manieri Elia addirittura finisce col ritenere che… la colonna misteriosamente contenuta nel pilastro rende la materia parlante come dire ‘osannante’, come avviene nell’edicola dell’Osanna di Nardò (anche l’Osanna di Nardò in fondo è una colonna racchiusa in un’edicola).
“L’Osanna” a Nardò (Lecce)
La vittoria di Lepanto è consacrata alla Madonna del Rosario, la cui festività il 7 ottobre fu istituita dal papa Pio V proprio in ringraziamento per la vittoria attribuita (come meglio diremo in seguito) all’intercessione della Madonna del Rosario.
Che la ‘colonna inglobata’ di Santa Croce indichi un trionfo militare, in questo caso il trionfo di Lepanto, si deduce da varie altre significative indicazioni e rilevanti raffronti. Nel Sedile di Lecce vi sono sulla fronte ‘colonne inglobate’.
Il carattere trionfale anche in questa costruzione è esplicitamente evidenziato dai trofei militari rappresentati sulla facciata accanto a dette colonne. Il carattere trionfale del Sedile è indiscutibile proprio per la presenza di panoplie complete di armi, corazze ed elmi. Sappiamo che tale Sedile fu costruito nel 1592 sotto il sindaco Pietro Mocenigo, quindi pochi anni dopo la battaglia di Lepanto (1571). Quindi le ‘colonne inglobate’ del Sedile possono essere una diretta emanazione e un prolungamento della ‘colonna inglobata’ di Santa Croce, quasi un orgoglioso proclama di vittoria esteso a tutta la città, rappresentata in questo monumento che da allora fu sede del Comune fino alla metà dell’800.
Volendo poi istituire un parallelismo con le mensole della balaustra , si può subito affermare che l’architettura parlante di Santa Croce appare concepita come segno della vittoria di Lepanto dei Cristiani sugli infedeli dell’Oriente pagano.
Le mensole che reggono la balconata sono indubbiamente l’architettura parlante più evidente di Santa Croce: sono sentite come segno di trionfo e teatro della storia.
Mensole che reggono la balconata
Fanno pensare ai soldati-telamoni inginocchiati del Portico Persiano narrato da Cicerone e descritto da Vitruvio nel De Architectura. Nel primo libro Vitruvio dice così: Gli spartani, quando sotto il comando di Pausania nella battaglia di Platea con pochi soldati vinsero la moltitudine di persiani, costruirono con il bottino di guerra il portico persiano a mo’ di trofeo della vittoria per i posteri e testimonianza insieme del valore dei cittadini; e lì furono collocati a sostenere il tetto statue di prigionieri in vesti e ornamenti barbarici, come documento di superbia punita.
Ricordiamo brevemente che già nel 490 a.C. a Maratona 10.000 ateniesi e 1000 plateesi sotto il comando di Milziade avevano sconfitto l’esercito numericamente preponderante degli invasori persiani. Dieci anni dopo nel 480 la flotta persiana guidata dallo stesso Serse era stata sconfitta a Salamina. L’anno successivo a Platea nel 479 i persiani furono definitivamente sconfitti dai greci guidati da Aristide e Pausania: fu allora, dopo la definitiva cacciata degli invasori, che gli spartani costruirono il Portico Persiano, dove simulacri di “Prigioni” barbari sostenevano il tetto a significare la superbia persiana castigata e la gloria delle virtù di greci esaltata. Abbiamo un’idea del Portico Persiano dalla rappresentazione grafica che nel ‘500 ne fece il pittore-architetto Cesare Cesariano).
Ora dopo la vittoria dei cristiani a Lepanto nel 1571 nei telamoni ‘turchi’ di Santa Croce è evidente l’idea della consacrazione storica dell’occidente cristiano vincitore sull’oriente turchesco: proprio come a Platea in Grecia nel 479 a.C. si volle consacrare storicamente la vittoria dell’occidente ellenico contro l’oriente persiano, così nei telamoni di Santa Croce a Lecce è la consacrazione del mondo cristiano che sconfigge gli infedeli a distanza di duemila anni da Maratona e Salamina. Insomma sia nel Portico Persiano sia nei Prigionieri della balaustra di Santa Croce c’è l’idea del castigo della Superbia, che rimanda al contrappasso immaginato nel Purgatorio dantesco per i superbi, raffigurati come Atlanti curvi sotto il peso dei massi e assimilati alle Cariatidi in architettura. Dice Dante nel X canto del Purgatorio:
Come per tener solaio e tetto,
per mensola talvolta una figura
si vede giunger le ginocchia al petto…
piangendo parea dicer “più non posso”.
telamone
In passato si erano fatti vari tentativi di decodificazione dei significati insiti nei telamoni della facciata della chiesa celestina, ma solo con gli studi del Cazzato, Calvesi e Manieri Elia si è arrivati ad una fondamentale, valida interpretazione di questo straordinario monumento a crinale fra due epoche (1549 -1646) cioè tra tardo Rinascimento ed età Barocca: certo si può andare anche oltre il collegamento con Lepanto, ma finora essa è l’unica seria chiave di lettura dell’iconografia della ricca facciata di Santa Croce.
Non vogliamo escludere altri significati di vari elementi, per esempio (all’interno della basilica) i dodici capitelli lungo la navata centrale con le teste dei 12 apostoli, ed altri motivi (all’esterno) come le ghirlande di fiori, le teste di leone, il motivo dominante della melagrana: essi possono avallare l’interpretazione di Santa Croce come ‘Tempio di Salomone’. Il frutto della melagrana è strettamente connesso col tema della Santa Croce. Spesso da vari religiosi la melagrana viene detta simbolo della gloria celeste. Perciò intorno al bellissimo rosone della nostra basilica è una corona di melegrane, quasi una corona della giustizia; ma il simbolismo di Santa Croce è da collegare soprattutto con la vittoria di Lepanto e il trionfo del cristianesimo sui miti pagani.
rosone
particolare del rosone con le melagrane
In passato, pur ritenendo le mensole sotto la balconata non riferibili solo all’estro fantastico, esse erano considerate come immagini delle varie parti della terra e del cielo: per esempio il negretto secondo antiche interpretazioni rappresenterebbe l’Africa, l’uomo con turbante l’Asia, altre mensole venivano identificate con varie costellazioni celesti: i gemelli nutriti dalla lupa con l’omonima costellazione e così la costellazione dell’Orsa, il Leone, il Dragone, Ercole, Pegaso. Allora era questa la chiave di lettura simbolica, quasi che la terra e il cielo concorressero a magnificare la redenzione attraverso il sacrificio della Croce: cioè i Celestini committenti avrebbero voluto imitare l’esempio di re Salomone edificatore del maestoso Tempio di Dio.
I cosiddetti in passato “mostri” della facciata oggi più correttamente assumono significati del tutto antitetici rispetto a quelli finora ad essi attribuiti. Le tre figure centrali al di sotto della balaustra, il dragone, l’aquila e il leone vanno letti, proprio perché realizzati subito dopo la battaglia di Lepanto, come una espressione della Santa Lega Cristiana contro il Turco : il papa Pio V che aveva indetto la Santa Lega, è simboleggiato dal Dragone, che in effetti era l’arma emblema del papa Gregorio XIII, successore di Pio V: conferma tale ipotesi il putto con la corona pontificia tra le mani, ora collocato sopra l’aquila imperiale, ma in origine era sopra il dragone papale: sappiamo infatti che in fase di restauro i tredici putti sono stati spostati rispetto alla collocazione originaria.
putto con la corona pontificia sopra l’aquila
Anche gli altri animali si ricollegano alla santa Lega vincitrice di Lepanto: oltre all’aquila, al leone e al dragone si trovano gli emblemi degli altri alleati del papa nella santa lega cristiana: il grifo, emblema di Genova, la lupa con i gemelli, simbolo di Roma, Ercole con la pelle del leone, emblema mediceo del Granduca di Toscana, L’orso degli Orsini, tutti alleati della Lega Cristiana, infine il cavallo simbolo dell’Europa intera: l’armata cristiana infatti era stata stretta sotto gli emblemi del cattolico Filippo II re di Spagna, il papa Pio V e la Serenissima Repubblica di Venezia (vedi il leone): è ovvio che le loro insegne, DRAGONE AQUILA E LEONE, siano proprio al centro della facciata, sotto la balaustrata.
dragone, aquila e leone
Ercole con la pelle del leone
la lupa allatta i gemelli
l’orsa
L’armata cristiana aveva eletto la Madonna come sua protettrice e Signora : era guidata da don Giovanni d’Austria, fratello del re di Spagna; egli partendo da Napoli aveva ricevuto da un frate celestino, il padre Giovan Battista da Guardiagrele un piccolo quadro, chiuso in una scatola, con l’immagine della Madonna dipinta in tutta segretezza: il padre celestino, consegnandola a Don Giovanni d’Austria, generalissimo dell’armata cristiana, gli aveva detto: Ecco Sig. Principe la spada con cui difenderete la fede cattolica e abbatterete l’orgoglio dei Turchi: con questo segno voi vincerete, ” in hoc signo vinces” : ora al centro della balaustra, quasi chiusa in una grande scatola, v’è proprio l’immagine della Madonna: Non a caso quindi sulla balaustra di Santa Croce, proprio in posizione centrale rispetto all’intera facciata, v’è l’immagine della Madonna “Succurre Miseris” , quasi incastonata in uno scrigno.
La Madonna del Rosario al centro della balconata
Non mancano in Santa Croce ulteriori richiami alla lotta contro i Turchi: al di sopra dei due portalini sul prospetto sono dei globi fiammeggianti, quasi palle di cannone infuocate: “granate ” che in spagnolo significa melograni ma anche bombe : non è casuale quindi la presenza di tanti melograni e delle palle infuocate fiammeggianti.
globi fiammaggianti
E I PUTTI DANZANTI sulla balaustra che cosa significano? In passato si diceva che volteggiassero e danzassero abbracciati ai simboli del potere ecclesiastico: cappelli vescovili, copricapo cardinalizi, la tiara papale, si interpretavano come una partecipazione alla grande coreografia dello straordinario fondale : in effetti sembrano essi piuttosto maltrattare tali simboli, sembrano cioè ripetere le gesta di Celestino V : come il santo “del gran rifiuto” rinunciò a tutti i simboli del potere ( tali simboli sono appesi alle braccia come trofei di guerra o gettati a terra in segno di rinuncia) così anche i putti rendono omaggio a Celestino rinunciando idealmente come lui aveva fatto realmente alle proprie corone.
putto che lancia la tiara papale
i 13 putti sopra la balconata
Le statue che sovrastano le due volute laterali ( più volte identificate in passato con la Fede e la Fortezza o addirittura con L’Autorità e L’intelletto ) altro non sono che gli attributi dei Celestini, l’Umiltà e la Sapienza e sono poste la prima cioè l’umiltà (con le tiare e altri simboli di potere abbandonati ai piedi, un leone dormiente ai piedi ed un agnello fra le braccia) in corrispondenza della figura di Celestino definito ” agnello mansueto”; la seconda, la sapienza, col copricapo-fiamma e l’aquila ai piedi in corrispondenza della statua di S. Benedetto. Interessante il confronto del copricapo della Sapienza con quello di una statuetta in terracotta del III secolo a.C. conservata nel Museo Castromediano di Lecce identificata come Minerva guerriera, ma anche dea della sapienza : la fiamma di fuoco è il naturale desiderio di sapere.
parte superiore della facciata di Santa Croce
l’Umiltà e San Pier Celestino
San Benedetto e la Sapienza
la Sapienza e la Sapienza i terracotta
Infine il rosone è il Cristo- Sole e gli angeli le melegrane-rose e i gigli disposti su tre cerchi concentrici compongono il n:72 ( 24+24+12+12) quante cioè sono le spine della corona che trafisse il Cristo in croce.
Rosone con agli estremi in alto la data: 16 a sx 46 a dx
Tornando ora a quella che è l’architettura parlante per eccellenza , cioè la colonna “inglobata” diciamo che da eminenti studiosi è stata letta in altro modo, in senso positivo, sempre però in riferimento a Lepanto. Fagiolo e Cazzato pensano che potrebbe essere interpretata come una sorta di reliquia inserita in un pilastro-reliquiario e visibile attraverso le finestrelle ovali, cioè la colonna assurgerebbe ad emblema di vittoria, tenendo presente che a Lepanto era apparsa durante la battaglia una colonna di fuoco nel cielo a guidare l’armata cristiana come ricordano varie fonti.
La colonna è anche legata alla figura di Marcantonio Colonna che guidava a Lepanto le truppe papaline (e il suo stemma era appunto una colonna). La successione dei “cinque ovuli” fa pensare anche al tema del rosario ( i cinque grani grossi appunto del rosario, riferimento alle piaghe del Cristo in croce ) : la festa in onore della Madonna del Rosario, sette di ottobre, lo ripetiamo, fu istituita appunto dopo la battaglia di Lepanto. L’impresa infatti era partita all’insegna della protezione mariana e la Regina dei Cieli era stata eletta da tutta l’armata cristiana come sua Protettrice e Signora: l’immagine della Madonna, quasi incastonata in uno scrigno, doveva quindi comparire in Santa Croce collocata sulla balaustra, in posizione centrale rispetto all’intera facciata.
Dunque in conclusione, quali che siano le varianti nella interpretazione dei telamoni e della colonna inglobata, resta comunque un punto fermo: è evidente in tali simboli ed indiscutibile il riferimento alla battaglia di Lepanto del 1571 e quindi alla sconfitta del mondo turchesco e alla esaltazione della croce, rappresentata grande e imponente sull’acroterio raffinatissimo della basilica di Santa Croce, trattato a scaglie e a riccioli con l’inserto centrale dell’ovulo della Croce greca solenne e sfavillante come un sigillo, opera riferibile al gusto seicentesco del grande Cesare Penna.
Acroterio
Concludendo tutti gli elementi presi in esame dobbiamo dire che portano in fine alla conferma dell’intreccio e della compresenza di più valori simbolici nella facciata di questa eccezionale basilica che nella Lecce, spesso definita, “la Firenze delle Puglie” oppure “l’Atene d’Italia” oppure ” L’Atene del barocco” potrebbe essere considerata il suo gioiello più prezioso ed essere definita tutta la basilica come il “Partenone del barocco leccese”.
Ringraziamo l’autore di questa splendida ricerca, sulla Basilica di Santa Croce a Lecce,
il prof Alfredo Sanasi, socio del “Caffè Letterario” di Nardò