La professione medica a Nardo’ nel medioevo e nell’età moderna

Strumentario Chirurgico di H. Brunswing, in Chyrurgia, Maguntia 1497
Strumentario Chirurgico di H. Brunswing, in Chyrurgia, Maguntia 1497

 

 La professione medica a Nardò, nel medioevo e nell’età moderna

di

Roberto Filograna

Sull’esercizio della nobile professione medica a Nardò nel corso dei secoli si hanno pochissime notizie. Le più antiche, allo stato delle attuali conoscenze, risalgono al XV e XVI secolo e provengono dallo studio dei protocolli notarili cinquecenteschi conservati nell’Archivio di Stato di Lecce. Da essi apprendiamo, infatti, che già nel secolo XV l’Universitas, ossia la Civica Amministrazione, di Nardò, favoriva l’istruzione medica superiore, attraverso l’istituzione di una sorta di “borsa di studio” per gli studenti più meritevoli.

Nel secolo successivo, poi, la stessa Universitas era solita conferire un incarico professionale a due medici del luogo che, senza percepire salario alcuno, si impegnavano a garantire l’assistenza medico-chirurgica gratuita ai più bisognosi, ma anche agli infermi dell’ospedale cittadino e dei monasteri della città.

Ma esaminiamo più in particolare i casi sopra riportati.

Nel 1490 l’Universitas di Nardò ha molto a cuore che alcuni neretini conseguano la laurea in medicina[1]. A tale scopo essa si impegna a sostenere le spese di due onze[2] l’anno per far conseguire tale laurea, presso la Scuola Medica di Napoli[3], a due studenti, tal Bernardino de Guarrerio e a tal Giovanni Cafaro, ambedue di Nardò.

L’Uniersitas, pertanto, stipula con gli stessi una sorta di patto d’onore, in base al quale essi si impegnano, in prima persona o nominando un garante, a restituire all’Universitas la somma anticipata, qualora non riescano a conseguire risultato negli studi. A tale scopo la Civica Amministrazione neretina fa redigere due instrumenti dal notaio neretino Francesco de Guarrerio. In uno di essi la nobildonna Costanza de Todero, moglie di Filippo del Castello, si impegna a restituire la somma di onze due l’anno che essa Università li dette a detto Gioanne (Cafaro) come studente in Napoli, nel caso di mancato profitto negli studi.

Uno instrumento analogo viene redatto, nello stesso anno e sempre dal notaio Francesco de Guarrerio, a favore dello studente Bernardino de Guarrerio (probabilmente un suo parente) che se obliga di farsi dottore, overo di restituire le due onze l’anno se danno a li studenti in Napoli.

Da tali instrumenti si ricava chiaramente la straordinaria importanza che l’Universitas attribuiva ai progetti ad essi collegati, in un periodo, sotto il regno di re Ferrante, in cui la città di Nardò era la demanio, da quando, nel 1487, era sparito di scena il duca e signore della città, Anghilberto del Balzo, rimasto coinvolto nella famosa congiura dei baroni. D’altra parte l’onere di onze due l’anno sostenuto dall’Universitas non era di poco conto, se si considera che la stessa, intorno a quegli anni ed anche giù di lì, pagava all’Arcidiaconato la somma di un’ onza l’anno per l’affitto dei locali del Seggio sito nella platea publica[4].

La lettura del secondo instrumento, inoltre, fa pensare che in quegli anni invalesse, anche per le atre civiche amministrazioni, l’uso di sostenere la spesa “solita” di due onze l’anno per far studiare in Napoli gli studenti in medicina.

Di particolare interesse appare, poi, il contenuto di un altro protocollo notarile del notaio neretino Cornelio Tollemeto, redatto nel 1588[5]. Ed, infatti, il 29 dicembre dello stesso anno, davanti al detto notaio, l’Universitas neretina, alla presenza del magnifico Marco Aurelio Delfino di Nardò, ufficializzando la decisione presa due giorni prima, conferisce ai magnifici Iacobo Antonio Cabellono (Gabellone) e Guido Giò Nicola de lo Abate (deputatias et electis per magnificam Universitatem dicte civitatis Neritonensis, mediante deliberazione facta sub die 27 presentis mensisdi voler medicare gratis et senza salario alcuno, nell’ esercitio suo di medico chirurgo, tutti li monasterii et conventi et infermi di l’ hospidale di detta città, nec non tutte quelle persone così cettadine come habitanti di detta città, li quali saranno declarate povere e di non possere pagare detti magnifici Giacobo Antonio e Guido Giò Nicola, a questo eletti e deputati.

Nell’atto si aggiunge che il magnifico Marco Delfino, che espleta il ruolo di ispettore e garante, non possa prender di voler farse verificare che alcuna di dette persone (povere) medicantesi, habbia facoltà et possibilità di pagare, ma solum sia obligato stare alla declaratione di detti magnifici deputati, quale obligo di medicar gratis s’ habbia d’ intendere mentre e quando esso magnifico Marco Antonio (Delfino) sarà in Nardò, facte di trovandosi fuora da Nardò, non sia obligato a cosa alcuna.

L’atto è sottoscritto dal giudice ai contratti Giovanni Antonio de Monte, dal nobile chierico Giò Tommaso Bove e dal sindaco Scipione Marra.

Affatto singolare appare, dunque, la figura ed il ruolo del magnifico Marco Delfino, che svolge il compito di una sorta di “sorvegliante e verificatore delle prestazioni sanitarie”. Ciò forse e probabilmente per evitare abusi e personalismi da parte dei medici ovvero un ricorso eccessivo od improprio alla prestazione gratuita, sebbene, in ogni caso, al medico spetti la decisione di curare gratis coloro i quali egli ritenga siano impossibilitati, per povertà, a pagare la prestazione.

Altra singolarità è, poi, rappresentata dal fatto che, mancando dalla città il magnifico Marco Delfino, il medico s’intenda svincolato da qualunque obbligo e quindi libero di farsi pagare la prestazione da chicchessia.


[1] Archivio di Stato di Lecce (ASL), Protocolli notarili G. F.Nociglia, 66/3, 1596, cc. 26r 45v, transunti n. 79 e 94; R. Filograna, Castelli, fortificazioni ed antichi privilegi della città d Nardò, Lecce 1999, 259 261, 275.

[2] L’onza o oncia, nel Medioevo, era un’unità monetaria d’oro che nei secoli XI e XII fu utilizzata soprattutto nei contratti e come pena pecuniaria. Come moneta di conto venne usata in Sicilia e nel regno di Napoli sino a tutto il XV secolo. Un’oncia d’oro corrispondeva a quattro augustali e un augustale corrispondeva, per le città del regno di Napoli, alla tassazione annua di ogni fuoco o nucleo familiare.

[3] Nei secoli XII e XIII, quando non esistevano ancora le Università degli studi nel senso moderno del termine, le Scuole mediche erano costituite da corporazioni d’arte e cioè da aggregati di persone legate agli stessi interessi e soprattutto dalla stessa condizione professionale. Nell’accezione moderna il termine Università degli studi fu impiegato per la prima volta a Perugia, soltanto nel 1316, mentre il termine di Facoltà fu usato, ancor prima, nel XIII secolo dal papa Onorio III in una lettera inviata agli studenti parigini.

In Italia, le prime Università sorsero, senza ufficialità, come trasformazione di vecchie scuole private, i cui maestri, previo alti compensi, si organizzarono per assicurare la continuità del loro insegnamento.

La prima Università fu fondata a Bologna nel 1110, mentre quella napoletana troverà i suoi natali molto più tardi, nel 1225 (L. Sterpellone, Dagli dei al DNA, III, Roma 1990, 357).

[4] C. G. Centonze, A. De Lorenzis, N. Caputo, Visite pastorali in Diocesi i Nardò, 1452-1501, Galatina 1988, 198. Per  ulteriori e più particolareggiate notizie sul Seggio civico cfr. Filograna, Castelli 191 nota 10, 211.

[5] Archivio di Stato di Lecce (ASL) , Protocolli notarili C. Tollemeto, 66/2, 1588, c.1r-v.