di Ferruccio Pascali e Riccardo Schirosi
da un articolo dell’undicesimo numero della rivista del “Caffè Letterario” – “Spicilegia Sallentina”
Nardò non è stata certo un popolo di santi o di navigatori, ma sicuramente lo è stata di amanti della musica e in particolare del melodramma. La musica, per lunghi secoli, era stata quasi sempre prerogativa e privilegio della “Chiesa” e delle Corti, esprimendo in tale ambito compositori anche in Nardò, vedi il madrigalista del XVI secolo Fra Benedetto Serafico dell’Ordine dei Predicatori (1).
Dalla fine del ‘700 in poi si propose come mezzo per esprimere l’esigenza di rinnovamento socio-culturale, diventando veicolo di idee laiche e democratiche, uscendo dalle “Chiese” e dalle Corti e imponendosi all’attenzione delle classi popolari.
In questo processo le bande hanno svolto un ruolo fondamentale, facendo conoscere e apprezzare, a una rilevante parte della popolazione, i grandi autori del melodramma: Bellini, Verdi, Rossini, Puccini, Mascagni … i cui brani, eseguiti prevalentemente in occasione delle feste patronali, in una Piazza stracolma, offrivano un suggestivo scenario di Concerto sotto le stelle. A Nardò la presenza di corpi bandistici risale a prima del 1860, ma bisogna arrivare al 1871 per avere la costituzione della prima “Fanfara Musicale” che, alla fine del secolo, si trasformò in Banda, potendo, come tale, garantire rappresentazioni artisticamente più valide.
Fu nominato “Maestro” il signor Mario Marzano e alla banda fu dato il nome di “Banda Verde” (2). Le esibizioni riscossero notevole successo in Italia e all’estero. Negli anni 1910-1912 durante una tournée in terra ellenica, il M° Marzano ebbe un importante riconoscimento da parte del Re di Grecia che, rimanendo sorpreso dalla sua bravura, ebbe il piacere di donargli una bacchetta con l’impugnatura d’oro.
Ma chi erano i componenti della Banda Verde?
Erano prevalentemente calzolai, contadini, falegnami, barbieri, artigiani insomma, che per arrotondare i magri guadagni, cercavano altre fonti. Essi si erano formati nelle numerose scuole di musica che erano fiorite in quegli anni.
Tra tutte ricordiamo, sorte su iniziativa del Vescovo Mons. Ricciardi e gestite da Don Egidio Mancino, l’oratorio per il canto e la scuola di musica del ricreatorio, vera fucina di talenti, con i cui componenti fu formata una Fanfara che si esibiva nelle feste rionali in divisa di “marinaretti”.
In questo periodo di fermento musicale si costituì in Nardò anche una Orchestra Filarmonica in cui suonavano valenti musicisti neritini tra cui il M° Vincenzo Volpe che fu poi 1° violino al San Carlo di Napoli e il M° Francesco Petraroli. Purtroppo, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale parecchi musicanti dovettero partire per il fronte e le attività musicali in genere rallentarono notevolmente. Subito dopo ripresero però con maggior vigore grazie all’affermarsi di alcune personalità di spicco.
Tra queste: il M° Luigi De Razza che si diplomò a Firenze in “istrumentazione per banda”, a cui fu assegnata nel 1920 (gentile concessione del M° Mario Marzano ) la concertazione e la direzione della Banda Verde in occasione del 50° anno della fondazione della Società Operaia di Mutuo Soccorso “G. Zuccaro” e fondò poi nel 1921 la Banda di Galatone, Il M° Gabriele Ammassari, che dirigeva la Banda di Gallipoli, il M° Luigi Marzano, direttore della banda “Città di Ruffano”, con la quale vinse il 1° premio ad un concorso a Costantinopoli (ora Istanbul, Turchia), perì purtroppo nel 1926 in un incidente stradale in Basilicata insieme con altri musicanti, il M° Carmelo Leopizzi, il M° Giuseppe Cardone (1881-1974), diplomato brillantemente in composizione e strumentazione per banda presso il Conservatorio di San Pietro a Maiella in Napoli, che aveva diretto sin dal 1913 il concerto bandistico di Miglionico (Matera), e, sempre in quell’anno, su invito del Console italiano in Turchia, aveva effettuato con il suo complesso bandistico una lunga tournèe che aveva interessato anche la Grecia. Fu direttore della banda musicale di Latiano e per breve tempo Maestro di Cappella nella Basilica Cattedrale di Nardò, incarico che lasciò sentendosi più portato per la musica profana che non per quella sacra. “A’ nascire cu siervi Diu”, questa la gustosa espressione che, secondo quanto riportato da Amilcare Vernich (3), utilizzava per giustificare la sua rinuncia. Diresse poi per circa 50 anni la Banda di Grottaglie lasciando un cospicuo numero di marce sinfoniche e musiche del Venerdì Santo ancora oggi eseguite e fu uno dei primi maestri a organizzare un Complesso Lirico-Bandistico.
I cittadini di Nardò erano entusiasti della loro Banda Verde e la seguivano numerosissimi e in religioso silenzio durante le esibizioni, sempre pronti a entusiasmarsi e a non far mancare scroscianti applausi ascoltando gli acuti della “cornetta” nel “Barbiere di Siviglia” o nella “Traviata”.
A dimostrazione dell’interesse che riscuoteva l’esibizione della banda, si racconta che, a volte, durante l’intervallo tra un pezzo e un altro, alcuni appassionati si mettevano a discutere con il direttore sull’opportunità della lunghezza di questo o quell’acuto, approfittando del suo spostarsi dal podio per prendere un caffè
La Banda Verde passò dopo la morte di Mario Marzano al fratello Manfredi, con il quale visse un periodo di straordinario fulgore. Nel 1928, Pietro Mascagni, l’autore della “Cavalleria Rusticana”, trovandosi a dirigere al Politeama di Lecce “Il Piccolo Marat” e avendo saputo del prestigio della Banda Verde, volle ascoltarla nell’esecuzione della propria composizione ”L’amico Fritz”. Rimase così contento dell’interpretazione, che sulla foto che lo ritraeva insieme a tutti i componenti della “Banda Verde” volle scrivere di suo pugno una lusinghiera dedica di augurio e di ammirazione.
Nel 1935, dopo un periodo di crisi successivo alla scomparsa di Manfredi, la direzione fu affidata al M° Egidio Schirosi, esponente di una famiglia in cui erano presenti numerosi musicisti.
In quell’anno a Nardò si costituì anche un’altra banda diretta dal M° Pio Russo e chiamata Banda Rossa, ebbe però vita breve a causa della morte precoce dello stesso M° Russo.
Dopo qualche anno il M° Vincenzo Schirosi, fresco di studi presso l’Accademia Musicale di Santa Cecilia, dove aveva conseguito anche il diploma di “istrumentazione e composizione per banda”, subentrò al fratello Egidio alla guida della Banda Verde. Fu l’inizio di un lungo periodo di stabilità, e di sempre maggiori successi in Italia ma anche all’estero, principalmente in Belgio.
Dopo la sospensione per la Seconda Guerra Mondiale, le attività musicali ripresero pienamente e, fino al 1959, la “Banda Verde” fu da lui diretta sempre con competenza e bravura, tanto che in occasione di un “Giro artistico” in Campania, il “Mattino” così descrisse il M° Vincenzo Schirosi: “Maestro di seria cultura musicale e di sicuro intuito artistico, dall’anima aperta a tutte le forme del bello, dallo spirito finemente interpretativo delle opere dei sommi maestri”.
Nella sua lunga carriera compose anche numerose Marce Militari, Sinfoniche e Funebri, depositate presso la SIAE, che erano eseguite dalla stessa Banda Verde, ma anche da numerosi altri complessi bandistici che ne richiedevano le partiture.
Nel 1959, dopo circa 20 anni di direzione, il Maestro Vincenzo Schirosi abbandonò tra il dispiacere di molti che non riuscivano a comprenderne i motivi.
Certamente fu perché stanco e per l’impossibilità di garantire le ingenti risorse finanziarie che erano necessarie per portare avanti un complesso bandistico di almeno 50 elementi.
L’onere e il rischio, in un periodo in cui non esistevano aiuti economici da parte di enti o istituzioni pubbliche, ricadevano esclusivamente sulle spalle del Maestro.
Ma bisogna anche dire, che forse prima di tutti, aveva intuito che la funzione per cui le bande avevano avuto tanto successo era venuta meno. La diffusione dei Mass-Media, prima di tutto la radio e poi la tv, che in quegli anni stavano diventando alla portata di tutti, consentiva a quelle classi che prima accedevano alla cultura musicale soltanto ascoltando la banda nella piazza del paese, di ricevere, stando a casa, le stesse musiche ma eseguite da grandi e più importanti orchestre.
Tutto ciò stava lentamente segnando la fine della popolarità della banda. (4))
La Banda Verde passò al M° Antonio Colazzo e continuò per diversi anni la sua attività, anche con un certo successo. Poi, condividendo la sorte toccata a molte delle altre grandi «Bande da Giro» pugliesi, arrivò inesorabile la fine.
Ma… iniziò il mito della Banda Verde e si perpetuò la narrazione, a volte aneddotica, relativamente al suo valore.
Si racconta che a volte, quando la festa era animata da due o più bande, i componenti del comitato festeggiamenti organizzavano un vero e proprio tranello per confrontarne la bravura. Spegnevano le luci simulando un guasto alle luminarie della “cassarmonica” e consideravano dimostrazione di grande preparazione e affiatamento il fatto che si continuasse a suonare anche senza avere la possibilità di leggere gli spartiti.
In simili occasioni la Banda Verde superava sempre brillantemente la prova.
Che la Banda Verde abbia rappresentato, nel suo campo, un fenomeno che andava ben oltre l’interesse degli addetti ai lavori e degli appassionati, ce lo conferma anche il ritrovarla citata come termine di paragone in una sorta di pièce teatrale del poeta Antonio Verri (Caprarica di Lecce 1949-1993), in cui viene descritta la vita leccese negli anni ‘30 del novecento:
”…Nei salotti di Lecce si rideva così. Tra una battuta su Starace e il brillìo di abiti incredibili, le damine altolocate, di buona carità, si tuffavano in gare di carnevali di cartapesta, tombole e lotterie varie, organizzate opportunamente e con squisito garbo signorile, mentre fuori cominciavano le famose e tristi sfilate per le vie di Lecce di cento, duecento orfani, trovatelli, ospiti di un altrettanto triste Ospizio Garibaldi, con proprio concerto bandistico. Passano li spiziotti, diceva la gente (musica di marcia di banda).
Narratore: Non era certo la Banda Verde di Nardò, ma alla gente bastava. I musicanti della Banda Verde erano impegnati altrove, nel resto d’Italia, con corse frenetiche in corriera e con nella corriera, bene in vista, la foto che li ritraeva con Pietro Mascagni e signora nel 1928…” (4)
Gli “spiziotti” citati nel testo erano i componenti della Banda degli Spiziotti. Si trattava di un complesso bandistico attivo dal 1858 al 1950, formato da ragazzi, in massima parte orfani, ospiti del Reale Collegio San Ferdinando di Lecce, divenuto dopo l’Unità d’Italia Ospizio Garibaldi, cui lo scrittore Giuseppe Pascali ha dedicato un prezioso saggio sottraendola all’oblio più totale e restituendo degli aspetti particolarmente umani ad un mondo, quello delle bande musicali ricco di aneddoti, storie, curiosità, che nei tempi passati hanno contribuito a rendere la banda uno degli elementi distintivi del territorio.(5)
La testimonianza di Fernando Vergari
Abbiamo raccolto la testimonianza del signor Fernando Vergari, uno dei pochi componenti tuttora viventi della Banda Verde nel periodo in cui fu diretta dal M° Vincenzo Schirosi.
Fernando Vergari, che abbiamo avuto modo di ascoltare una prima volta nel corso della manifestazione in omaggio alla Banda Verde svoltasi il 27 maggio 2014 presso la sede del Caffè Letterario di Nardò, è un testimone particolarmente prezioso perché all’invidiabile lucidità mantenuta a dispetto dell’anagrafe, unisce una cultura personale acquisita frequentando la scuola fino al V ginnasio e consolidata nel tempo con le varie attività lavorative svolte e posti di responsabilità ricoperti, sia in Italia che all’estero, e con la lettura che ancora pratica in modo assiduo.
Ciò gli ha permesso di cogliere durante l’esperienza di musicante anche aspetti antropologici delle comunità presso cui animava le feste in quanto componente della banda musicale.
Difficile comunque la sintesi di un racconto di vita vissuta, quasi impossibile rendere le atmosfere in cui i vari episodi si sono svolti, visti i radicali cambiamenti che hanno interessato le nostre comunità, complicato anche fornire una chiave di lettura. Ve lo proponiamo quasi come una raccolta di istantanee di cui speriamo di aver colto non solo l’aspetto esteriore ma anche il palpito della vita nel momento in cui ogni singolo evento si svolgeva.
Ecco il suo racconto:
“Ho iniziato lo studio della musica all’età di 18 anni (1949), sotto la guida di mio padre, clarinettista concertista presso la Banda Verde, già in precedenza però provavo di nascosto lo strumento. Avevo concluso gli studi da qualche anno con il V ginnasio e la mia richiesta di imparare a suonare fu accolta in famiglia con molto favore poiché poteva diventare, come già avveniva per mio padre e per tutti i musicanti, una integrazione al reddito familiare.
Il maestro Vincenzo Schirosi, non appena ebbi acquisito una preparazione di base mi accolse molto volentieri anche per la stima che nutriva nei confronti della mia famiglia..
Iniziò così la mia carriera di musicante che durò circa 15 anni, di cui i primi 4 anni con la Banda Verde e i successivi con le bande di Formia, Squinzano, Mottola, Carovigno, Gioia del Colle. Conservo un ottimo ricordo di tutte e dei vari maestri con cui ho avuto modo di collaborare: Brainovich, Milella, Falcicchio…, oltre, naturalmente, al M° Vincenzo Schirosi.
Il passaggio da una formazione all’altra avveniva in base all’entità dell’ingaggio, dal momento che era fondamentale, per un musicante, riuscire ad ottenere un buon guadagno nei circa sei mesi di stagione bandistica. Pur in un periodo in cui bastava poco per vivere, il buon andamento della stagione musicale era l’unica garanzia di disporre del necessario per la famiglia anche nei mesi invernali.
Ricordo a questo proposito che la più temuta delle punizioni che un maestro potesse mettere in atto era la sospensione o l’allontanamento definitivo dalle attività della banda. Ho avuto modo di vedere su di un direttore le gravi conseguenze derivanti dall’aver espulso per indisciplina un componente della sua banda. Gli eventi si erano svolti l’anno prima del mio arrivo in quella formazione ma egli non si era mai ripreso del tutto dalla coltellata che gli era stata inflitta per vendetta dell’espulso e, non riuscendo più a mantenersi bene in piedi, era costretto a dirigere appoggiandosi a una struttura metallica costruita apposta per lui.
La mia passione per la musica era tanta e anche la mia voglia di fare esperienze e conoscere nuovi luoghi, le condizioni di vita erano però particolarmente pesanti e ogni tappa della tournèe estiva era caratterizzata da tanta fatica, da trasferimenti disagevoli, sia per le condizioni delle strade che per quelle dei mezzi utilizzati, non dimentichiamo che l’Italia intera stava appena iniziando a riprendersi dopo le immani distruzioni causate dalla Seconda Guerra Mondiale. Nei primi anni erano generalmente dei camion telonati americani, residuati bellici, che con molta fatica, loro e nostra, riuscivano a portarci a destinazione e quando mettevamo i piedi a terra eravamo tutti bianchi per la polvere, sembravamo tanti Pierrot.
I percorsi erano impegnativi, dal momento che il nostro raggio di azione comprendeva tutta l’Italia a sud di Roma e, con particolare frequenza, la Calabria e la Sicilia, regioni in cui la Banda Verde era molto apprezzata e tenuta in grande considerazione.
A volte il camion arrancava talmente tanto in salita che era necessario saltare giù e bloccare le ruote con dei cunei di legno per evitare che si scivolasse verso il basso o negli strapiombi. In altre occasioni avvenivano avarie al motore o, peggio, al sistema frenante e, quindi, era la bravura dell’autista, con l’aiuto di qualche santo protettore, a non far succedere il peggio.
Ripensandoci, il vero segreto era la ridottissima velocità con la quale si procedeva; anche i ritardi erano all’ordine del giorno, così come la capacità di trovare scusanti.
Ben presto i camion furono sostituiti da pullman ma non mancavano gli inconvenienti, come quella volta in cui, entrando a Margherita di Savoia, il pullman non riuscì a fermarsi causa rottura freni e percorse una strada addobbata con le luminarie, abbattendole al suo passaggio e concludendo la sua corsa contro la “cassarmonica” che, ovviamente, fu anche essa danneggiata.
Di questa e di altre disavventure del genere avvenute nel periodo della mia permanenza nella Banda Verde, l’unica che ebbe conseguenze di rilievo, ma solo economiche e a carico del povero maestro Schirosi, fu il furto di tutti gli strumenti sistemati sul tettuccio del pullman in occasione della sosta in porto a Napoli in attesa del traghetto per l’isola d’Ischia, mentre ci eravamo allontanati per un caffè dopo un viaggio molto lungo e faticoso. Il maestro, pur di onorare l’impegno con il comitato feste, fu costretto ad acquistare in tempi rapidissimi nuovi strumenti. Era però destino che quella trasferta dovesse darci altri dispiaceri. Durante il viaggio di ritorno dall’isola, a causa del mare grosso, finirono in acqua tutte le brande, lasciandoci senza quell’ingombrante ma indispensabile accessorio di ogni musicante.
Oltre al necessario per suonare bisognava infatti portare con sé anche l’occorrente per dormire e, generalmente, anche per mangiare. I luoghi in cui pernottavamo erano, nella migliore delle ipotesi, delle scuole che, in quanto tali, avevano almeno un minimo di servizi igienici e di acqua. Spesso venivamo però alloggiati in fabbricati fatiscenti, privi di acqua e servizi.
Passare la gioventù così era triste, ti accorgevi della tua situazione soprattutto quando, nelle lunghe trasferte, capitava di passare lungo le riviere e vedevi le persone sulla spiaggia o in acqua mentre tu eri stanco e accaldato nel pullman, proveniente da una festa in cui magari avevi finito di suonare alle 2, le 3 del mattino ed eri diretto in un altro paese dove ti attendeva una processione di 4-5 ore e poi il concerto in “cassarmonica”.
Io però riuscivo a sopportare bene questa situazione anche perché guardavo incuriosito le usanze dei paesi in cui suonavo, ben diverse da quelle del mio. Ricordo la mia sorpresa e meraviglia nel vedere che durante l’estate tiravano fuori il ghiaccio da certe grotte in cui avevano stipato la neve dell’inverno, oppure vedevo alcuni che assistevano al concerto tenendo vicino un maialino legato al guinzaglio come se fosse un cane e altri che rifornivano il paese portando l’acqua mediante contenitori legati ai somari.
La Banda Verde iniziava la stagione piena intorno a Pasqua e la concludeva con San Martino a Taviano, con una uscita anticipata in occasione di San Gregorio, festa patronale di Nardò.
Si trattava, come già detto di mesi di sacrifici e fatica ma anche di grandi soddisfazioni.
La divisa, la musica, la “cassarmonica” ci rendevano molto importanti agli occhi delle persone di quel tempo. Gli applausi, il lancio di confetti e di petali di fiori, il mazzo di fiori al maestro, ti riempivano di orgoglio e facevano passare in secondo piano tutte le privazioni. Non di rado capitava anche di essere invitati a pranzo da qualcuno del luogo.
La mia esperienza con la Banda Verde, pur essendo durata pochi anni, è stata molto importante per me e mi ha sempre fatto piacere che, anche quando ormai suonavo con altre formazioni, molte persone, sentendo che ero di Nardò, mi riferivano la loro ammirazione per essa.
Credo comunque che anche gli anni passati con le altre bande siano stati utili per la mia vita e mi abbiano aiutato ad affrontare meglio le altre attività svolte nei decenni successivi e ancora oggi”.
Note:
– “La Banda di Lecce: dal Concerto Cittadino alla Schipa D’Ascoli”, 2006 –
“Bande di Puglia: il teatro sotto le stelle”, 2008
– “Gli Spiziotti: Storia della banda dell’Ospizio Garibaldi di Lecce”, 2009
(saggi pubblicati da Capone Editore)
e il romanzo “Il Maestro della Banda”, 2011, Grifo Editore, anche esso in argomento.